Il balletto grottesco di Galeazzo Ciano “burattino” della storia

La congiura che ruota intorno al genero del Duce raccontata con una buffa atmosfera da musical

 

Il mito dell’uomo forte, l’ossessione del carisma al potere, sono “malanni” dai quali noi italiani non siamo mai realmente guariti. Sì, perché, dai “Ventenni” dell’uno o dell’altro regime non riusciamo mai a venire fuori con le nostre “armi”, con un moto spontaneo di rivolta o con una libera scelta nelle urne elettorali. C’è sempre un liberatore di turno, con la bandiera a stelle e strisce o con i vessilli virtuali di una “terrificante” crisi finanziaria, a toglierci dagli impicci e restituirci l’orgoglio della libertà.
Questo è uno dei condivisibili argomenti di “Ciano” di Elio Crifò (da un’idea di Nicola Orofino e Carmen Panarello), messo in scena con successo nella Sala Laudamo per la rassegna «La casa degli artisti».
Nell’allestimento diretto da Orofino, la “congiura” che ruota intorno al genero del Duce e che condurrà alla sua condanna a morte, diventa un balletto grottesco in cui il rigore delle testimonianze storiche, tra ritagli dei giornali dell’epoca e gli atti del processo-farsa, è stemperata da una buffa atmosfera da musical. Uno stile narrativo quasi “didattico” che, come suggerisce l’autore, sfata l’antiquato binomio cultura/noia, portando per mano il pubblico con arguzia tragicomica tra i corridoi senza uscita degli ultimi giorni del Fascismo.

 

Nei panni del controverso Galeazzo, Francesco Bernava è un burattino nelle mani della storia, un capro espiatorio sballottato fra tribunali e penitenziari, amanti e consorti, che diventa spettatore rassegnato della sua ancora misteriosa vicenda personale. Carmen Panarello è bravissima nel creare un contrasto comico: la sua Edda è al tempo stesso una sbraitante marionetta ma anche una moglie afflitta e pronta a tutto pur di salvare il marito dal plotone d’esecuzione.
Lo stesso Crifò si diverte alternandosi nei ruoli di uno sprezzante macchinista teatrale (“vox populi” che commenta cinicamente le traversie della vittima predestinata) e del mefistofelico avvocato Cersosimo che sembra fare il verso al gobbuto Andreotti.
L’esilarante “sdoppiamento” coinvolge un po’ tutti gli attori, a partire dalla sorprendente Irene Serini, che dopo aver reso con movenze claunesche l’algida spia tedesca Frau Beetz, fa la parodia dei due legali: il difensore d’ufficio, l’impacciatissimo Tommasini, e il pubblico accusatore, il messinese Fortunato quasi posseduto dal demonio. Massimiliano Davoli, che è anche artefice delle didascalie-documentario proiettate durante lo spettacolo, prima è il compassato guardiano del carcere degli Scalzi, poi scimmiotta i conduttori-investigatori televisivi sulle note di X-Files.
Infine, sul fondo della scena, nelle immagini video realizzate da Valerio Vella, Maurizio Marchetti rende perfettamente i toni aulici (con tanto di accento romagnolo) di un disilluso Mussolini, preoccupato non tanto per sé quanto per il futuro di una nazione che, con doloroso presagio, immagina allo sfacelo e disseminata di “prostitute” anche nei palazzi del governo.
“Ciano”, accolto da lunghi applausi nella prima di ieri e nella prova aperta di giovedì, sarà replicato fino a domani.
Fausto Cicciò
Gazzetta del Sud