Dialogando con Carola Fasana e Caterina Simonelli al Festival di Arzo

Dialogando con Carola Fasana e Caterina Simonelli al Festival di Arzo

Durante le intense giornate del XXII Festival internazionale di narrazione di Arzo, Caterina Simonelli ed io abbiamo incontrato Carola Fasana che ha fatto una serie di approfondimenti per il Blog del festival. Qui trovate un piccolo estratto di quello che è stato il nostro dialogo e in fondo all’articolo trovate il link all’intervista integrale.

CAROLA: Perché partite dal corpo per comprendere e stanare gli stereotipi che appunto,
come hai detto tu prima nell’incontro in Corte, subdolamente si insinuano dove
non immaginiamo?

IRENE: Siamo abituati a stare, anche fisicamente, in una sorta di comfort zone. Murati vivi dai
nostri vestiti che sono delle armature, ci presentano al mondo, fanno il
lavoro per noi in qualche modo. Il corpo mi sembra essere quel luogo ormai
sempre meno parlante in maniera consapevole […] Mario Mieli investiva tantissimo
fisicamente, compiva delle azioni. Il corpo non è soltanto inteso come un
luogo che possiamo modificare a nostro piacimento, ma è inteso
anche come luogo che si può spostare, quella parte di noi che
puo occupare uno spazio e compiere delle azioni […]
CATERINA: Aggiungerei che, se avessimo più tempo nell’evoluzione di questo
laboratorio, forse avremmo potuto lavorare anche sulla relazione con l’altro da
me, perché nella relazione con l’altro si fa tutta una serie di compromessi o di
amputazioni della propria individualità. In teatro succede una cosa a volte
che è bellissima, cioè che la relazione non è una relazione fra due,
ma è una relazione a tre, che il mio essere più l’essere di qualcun
altro crea un terzo essere che è polimorfo, in qualche modo, come
nelle relazioni d’amore […]


CAROLA: In “Elementi di critica omosessuale”, Mario Mieli ad un certo punto dice:
“Chi aggredisce un omosessuale si mette il cuore in pace considerando che
tutto sommato se un finocchio era una creatura cosi esile, cosi fragile, cosi
aerea, cosi trasparente, così delicata, cosi deperita, cosi garrula, cosi
musicale, così tenera, si poteva ucciderlo; come vetro veneziano aspettava
soltanto il grosso e duro pugno che potesse frantumarlo senza
neppure tagliarsi” L’immagine del vetro veneziano che si frantuma senza neppure tagliarsi…
qualcosa che è destinato a rompersi quindi tanto vale farlo, pensate che oggi
l’immagine dal di fuori sia anche quella?

CATERINA: Credo che questo sia dovuto a quella cosa che diceva Irene prima, il fatto che un uomo che decide di sperimentare la sua parte femminile o che si identifica di più con la sua parte
femminile, dove a femminile si associano tutte queste caratteristiche molto
delicate, stilnovistiche quasi, compie una sorta di tradimento terribile nei
confronti della virilità […] Una cosa che a me, per esempio, mi ha sempre impressionato è il tipo di atteggiamento che avevano i nazisti nei confronti dell’omosessualità maschile e omosessualità femminile. Per cui l’omosessualità maschile era veramente stigmatizzata mentre quella
femminile, si era comunque condannata, però come donna potevi comunque
servire da incubatrice o da altro. Il nazismo ha fatto emergere come non era
cosi aleatoria come questione, ma era legata proprio a all’immagine della virilità come vertice di una gerarchia, vertice di un potere.

IRENE: […] Il mondo è pieno di uomini anche un “po’ femminili” che però
sono eterosessuali e di uomini potentemente virili
che sono omosessuali. Continuando a citare Mario Mieli direi che al di là di ogni luogo comune, un maschione può essere checca, un figurino esile e raffinato accanito donnaiolo, una femminuccia candida può essere lesbica, una robusta istitutrice tedesca perdutamente etero. Così va il mondo.
Questo mondo in cui puoi effettivamente trovare l’esibizione della forza e l’esibizione della
fragilità. Personalmente considero più forte colui e
colei che riesce a esibire le proprie fragilità, che riesce a entrare in
contatto anche pubblicamente con le proprie fragilità.

articolo integrale sul blog del festival

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