Incantesimi di Mario Mieli, studio 5: al Teatro Elfo Puccini di Milano, con la trepidazione di un odeon greco, la sala Bausch accoglie Abracadabra, quinto e ultimo studio di Irene Serini sul filosofo e scrittore italiano, e in particolare sull’opera Elementi di critica omosessuale.
Un’opera vertiginosa, un testo a tratti pruriginoso e contraddittorio, un pensiero radicale e di fatto censurato in Italia. Mario Mieli non gode di nessuna fama nel Belpaese, eppure il suo lavoro lo pone in dialogo con maestri del calibro di Foucault; risulta pionieristico nel filone, oggi di importazione prevalentemente anglosassone, dei gender studies. Un pensiero che rifiuta perentoriamente l’esclusività della norma (come standard che esclude); che scalpita nelle categorie psicoanalitiche (psiconaziste, come direbbe lui); che pone la liberazione del desiderio come antidoto all’oppressione del potere costituito e delle sue forme.
Come si coniuga questo con il teatro? Una domanda a cui solo Irene Serini sa rispondere, che con questa ultima fatica dimostra nuovamente di padroneggiare l’arte dello studio, quando in contemporanea molti studi sulle scene milanesi si limitano per lo più a una lettura imbellettata o eccentrica del testo. Al contrario, come già nello studio 4, dedicato “alla città inquinata del capitale”, nello studio 5 con Mieli si dialoga e Mieli si mostra; nel corpo degli attori come nelle loro storie.
Lo spazio scenico, di una essenzialità disarmante, è caratterizzato dalla forma geometrica del quadrato. Prosegue quindi un indirizzo rappresentativo già sfruttato nei precedenti studi con altre forme: il triangolo e il cerchio. L’espediente suggerisce da un lato quell’occulto legame tra magia e matematica (elemento tipico delle culture esoteriche); dall’altro rende visibile il concetto di perimetro, di forma, di struttura da lambire, da riempire e svuotare, attraversare, smontare, ridefinire.
A completare gli oggetti di scena una sedia, una lavagna e dei gessi, su cui scrivono e disegnano Anna Resmini e Luca Oldani. Nulla più serve a questa sapiente ensemble di attori per fare teatro. A deformare lo spazio, a dis-orientare e ri-orientare ci pensa l’apparato tecnico, le luci e i suoni che orchestra spietata e chirurgica Caterina Simonelli. Non si pensi però ad una rappresentazione asettica. Il minimalismo degli oggetti e delle linee è ampiamente riempito dalla fisicità, dalla voce e dalla interazione di tutti e quattro gli attori.
Più che ad una messa in scena, però, Abracadabra fa pensare alla costruzione di una seduta spiritica alla Artaud. Sembra interiorizzata la lezione sul teatro, “che non consiste in nulla, ma si serve di tutti i linguaggi – gesti, suoni, parole, luce, grida” e “nasce nel momento in cui lo spirito per manifestarsi ha bisogno di un linguaggio”. Così lo studio 5 “scioglie conflitti, sprigiona forze, libera possibilità”, sempre per dirla con Artaud. Fondamentale a tal proposito è la linea del gioco, essenza autentica del teatro, momento unico in cui l’adulto torna bambino (lo scherzo è adulto, il gioco è bambino, diceva qualcuno)…