“Questo libro ci dice che siamo tutti trans […] Avete mai pensato cosa succederebbe se veramente tutti quanti noi fossimo pronti a riconoscerci in questa parola?”.
È una delle tante, opportune domande che scaturiscono dallo spettacolo Abracadabra – incantesimi di Mario Mieli. L’educazione del bambino e della bambina – #studio5. L’occasione è il settantesimo anniversario della nascita di Mario Mieli (21 maggio 1952 – 12 marzo 1983). Sul palco del Teatro Elfo Puccini di Milano quattro attori (nella foto qui sopra, da sinistra, Caterina Simonelli, Luca Oldani, Anna Resmini, Irene Serini) smontano, rielaborano e danno nuova circolazione a un testo complesso, ancora oggi eversivo, il suo Elementi di critica omosessuale, edito daEinaudi nel 1977 (“rifacimento della mia tesi di laurea, che verteva sui temi dell’omosessualità maschile”, scriveva nella premessa l’autore, allora venticinquenne). Lettura che trasforma e scuote, ripubblicato nel 2002 e 2017 da Feltrinelli, Elementi mette in crisi proprio per la sua ostilità e spavalda intransigenza, il suo non (voler) essere rassicurante […] Con lo studio numero 5 si chiude il progetto intrapreso cinque anni fa dall’autrice e attrice Irene Serini (che Marì Alberione aveva incontrato per lo studio #4, in scena nel 2020 al Teatro Litta di Milano, la sua intervista si può leggere qui). Lo spettacolo ragiona, in forma di gioco e di dialogo metateatrale con lo spettatore, attorno a quella che il filosofo, attivista, attore, poeta (e molto altro) milanese definiva “educastrazione”, cioè il processo di inibizione dell’eros inflitto al bambino. Si riparte perciò dalle basi, come in un primo giorno di scuola. Scegliendo di voler sapere. Si riparte dai bambini (che siamo stati). Dedicandolo “a noi, che siamo vivi!”, come il coro dei quattro dichiara in scena. Gli interpreti adulti/bambini indossano varie tonalità di rosso, con un po’ di rosa, ma evitando a tutti i costi l’idiota demarcazione rosa / azzurro (l’applicazione cromatica e più immediata di ciò che Mieli indicava nella “Norma”). La prima ad entrare in scena è Anna Resmini, che si dichiara subito non primariamente attrice (è infatti illustratrice: qui i suoi lavori). Col gesso su una lavagna d’ardesia traccia con precisione i numeri che compongono un quadrato magico. Insieme ai tre compagni, cerca una sistematizzazione, un ordine, se pur sconvolgente, magmatico, del sé. Tutti si pongono domande semplici, “da bambini”, cioè le più scomode e difficili a cui rispondere. Anche scoprendosi e toccandosi, come fanno i bambini. Spesso in movimento – dentro e fuori – da una cornice quadrata di legno e nel perimetro quadrato del palco, di volta in volta chi tra i quattro prende la parola, tenta, da domande complesse, di estrarre deduzioni semplici, come “la normalità esclude, la verità comprende”. Immagini che sono verità lampanti, come l’abbraccio oscillante, indistinto del “mare che separa e unisce le due sponde”, mentre dal “periodo Sinatra” di Mina sulla scena risuona la marea accogliente di Ebb Tide…